Buon Natale!

Un post frettoloso – ahimé! – per augurare buon Natale a tutti voi. Mi sembra superfluo in questo caso scomodare l’etimologia: qualcuno crede che sia nato un Salvatore, uno che prende su di sé le colpe di tutti (comodo, eh?); altri festeggiavano il Sole che rinasce.

In qualunque cosa voi crediate, buona rinascita a tutti! E se permettete, un augurio particolare va a Twiga: possa il sole scaldarti il viso per tutto il tempo a venire, cara amica.

Con immenso affetto tanti auguri a voi tutti! Che la forza sia con voi!

Simona

Un post del c….

Si licet… una cosa che avevo messo da parte da un po’.

Minchia

Nel dialetto palermitano, inizialmente, il termine “minchia” indica l’organo sessuale maschile (che, con mirabile ed inquietante inversione, è una parola femminile, mentre l’organo sessuale femminile – lo sticchio – è una parola di genere maschile. Significa qualcosa? Boh, non sono un significatore, e non è che poi me ne fotta più di tanto). Ad una più attenta analisi si scopre però come il termine “minchia” non sia soltanto un termine, ma un vero e proprio ritmo del pensiero, una melodia di suoni che traducono con immediatezza una urgenza del sentimento. “Minchia” risulta essere quindi il suono che nel dialetto palermitano precede emotivamente (come ogni suono fa) il significato da esprimere, al punto che “minchia” riesce ad esprimere: dolore, paura, stupefazione, amore, odio, rabbia, gioia, estasi. Davanti a una femmina splendida che ti guarda eppoi si umetta le labbra indicandoti, “minchia” sarà l’unica parola pronunciabile. Rinnànzi l’aurora boreale, l’unico suono spendibile sarà sempre e solo “minchia”. E davanti al capolavoro di un golle all’incrocio dei pali, per rafforzare il valore di quanto accaduto si dirà: “minchia golle!”… E “minchia” fu l’unica cosa che le mie labbra riuscirono ad emettere quando appresi che la mafia si era asciucàta, dopo Giovanni Falcone, puru a Borsellino, Accussì è: di fronte all’indicibile dell’esistente, il palermitano questa oltranza impronunciabile la battezza con una parola contenitore: minchia.

Da Corriere Magazine del 4.09.08,  “Le parole che amo – tra ricordi, slang e dialetto” Davide Enia.

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Cenni storici

“Minchia” ha radici antichissime: risale al latino mentula (> mentla > mencla > minchia, fenomeno già spiegato qui), che sta per una versione un po’ volgare di “membro virile”, e come nomignolo irriverente è affibbiato da Catullo – sì, sì, quello di odi et amo, ma non solo – a un tale Mamurra, di cui nel carme 115 del libro si dice:

MENTVLA habet instar triginta iugera prati,

quadraginta arui: cetera sunt maria.

Cur non diuitiis Croesum superare potis sit,

uno qui in saltu tot bona possideat,

prata arua ingentes siluas saltusque paludesque

usque ad Hyperboreos et mare ad Oceanum?

Omnia magna haec sunt, tamen ipsest maximus ultro,

non homo, sed uero mentula magna minax.

 

(traduzione)

Minchia ha a un dipresso trenta iugeri a prato,

quaranta a campo; tutto il resto è maremma.

Perché non potrebbe superare Creso in ricchezza,

quando in una tenuta sola possiede tante ricchezze,

in prati, campi, in foreste immense, in pascoli e in paludi

fino agli Iperborei e all’Oceano?

Tutto ciò è grande, ma egli è ancora più grande;

non è un uomo, ma una minchia colossale e minacciosa.

 

 

Oh meravigliosa saggezza degli antichi!

Su wikipedia leggo che l’origine del termine è oscura, ma alcuni ricollegano la parola a mens, mentis (“mente”), di cui mentula sarebbe un diminutivo…. va bene che molti uomini con la mentula ci pensano, ma non mi spingerei così oltre. Più probabile la spiegazione alternativa, quella di Tucker, che lo ricollega al verbo eminere, “sporgere” sicché tanto mens quanto mentula risultano sì imparentati, ma come dilatazioni di significato più o meno figurate di “qualcosa che sporge, che spicca”. Alla stessa etimologia risalgono anche “monte” (mons) e “mento” (mentum). Alla base di tutte queste sporgenze, dunque, addirittura la radice indo-europea *men.

Tutto ciò un po’ a titolo di curiosità (stile rubrica “forse non tutti sanno che”), un po’ per par condicio con l’altro post riguardante alcuni nomignoli dell’apparato riproduttivo femminile. Ma soprattutto perché mi piace da pazzi la schiettezza cristallina di alcune parole ritenute volgari. E se avete obiezioni o rimostranze in tal senso, esprimetele pure senza problemi, che vi faccio rispondere da altri tre carmi di Catullo e da una lettera di Cicerone. 🙂 Anzi, mi sa che lo farò comunque.

Poi una domanda: secondo voi, non è un po’ incompleta una scuola che ci presenta solo un languido Catullo innamorato della sua donna crudele? O un Boccaccio che scrive solo di fanciulle rapite dai pirati e disperse per il Mediterraneo? Che disconosce l’Aretino, il Trilussa e il Belli? Che senso ha questo malriposto senso del pudore, sventolato da coloro che poi ci propinano donnine discinte e stupidamente sorridenti ad ogni cosiddetto format per la famiglia?

Infine una richiesta: visto che il “minchia” di Davide Enia è parte di un articolo intitolato “Le parole che amo – tra ricordi, slang e dialetto” perchè non mi regalate una parola del vostro dialetto che sia un “ritmo del pensiero”?

 

 

 

Ancora sulla glottodidattica: come NON si fa

Nelle mie estenuanti e spesso deprimenti ricerche di lavoro su internet, qualche volta trovo cose sorprendenti che non so se mi debbano far incazzare o divertire.  Il titolo è promettente, Studio Universitario Privato; lo slogan, “i discorsi non esauriscono il pensiero“, enigmaticamente suggestivo (oserei dire senza senso, se non lapalissiano).

Ho trovato il sito con la chiave di ricerca “aprire una scuola di lingue”, e uno dei primi risultati è questo sito, in cui si dice che manco ti devi disturbare a cercare un locale, si può fare a casa: basta disporre di un tavolo per 8/10 persone e un pc tipo pentium. Mi domando a cosa serva il pc, ma vado avanti. Serve anche il DVD del corso di spagnolo o di inglese, per acquistare il quale si può richiedere un prestito o un finanziamento…. mi domando quanto costi sto cavolo di DVD, ma tanto a me non serve né il pc né il DVD, no?

Si consiglia la retta mensile da farsi pagare dagli studenti: 50 euro al mese per 8 mesi, da pagarsi anticipatamente. Cavolo, sembra davvero redditizio!

Ma come trovare gli studenti, questo è il problema!

Fra amici e parenti, ovviamente, a cui verrà fornita una lezione di prova. Fin dalla prima lezione, è opportuno avveritre gli studenti che NON si studia a casa tra una lezione e l’altra, MAI!

Quando si invita qualcuno a partecipare ad una lezione dimostrativa, dirgli subito che non si deve mai studiare a casa.

Si insiste su questo punto anche in chiusura di pagina:

RICORDARE AGLI INTERVENUTI CHE NON SI STUDIA MAI A CASA FRA UNA LEZIONE E QUELLA SUCCESSIVA.
DIRLO ANCHE A COLORO CHE SARANNO INVITATI A PARTECIPARE ALLA SUCCESSIVA LEZIONE DINOSTRATIVA:

E’ MOLTO CONVINCENTE E DEVE ESSERE USATO COME SLOGAN PUBBLICITARIO AD OGNI OCCASIONE:

NON SI STUDIA MAI A CASA!

Eh no, eh? Sia mai che imparino qualcosa, approfondiscano…. poi io che faccio, il punto croce? Più somari, più insegnanti!

Ma c’è ancora qualcosa che mi sfugge, però: e se tra i miei parenti e conoscenti uno vuole fare spagnolo, l’altro tedesco, l’altro francese? Mica le so tutte al livello di inseganrle, no? Anzi, direi nessuna, perché bisognerebbe, oltre ad essere qualificati come insegnanti, essere di madrelingua nella lingua che si insegna.

Niente paura! – rassicura il sito amorevole :

NON E’ NECESSARIO CONOSCERE LE LINGUE PERCHE’ IL COMPUTER E’ IL SOLO INSEGNANTE ED E’ MOLTO PIU’ EFFICACE DI UN INSEGNANTE IN PERSONA.

Hai capito! Saperlo prima! Ma allora io che faccio????

Inoltre l’attività di ricevere allievi in casa per l’apprendimento di lingue non implica la necessità di sostare nella stanza in cui stanno gli allievi. Infatti, dopo avere insegnato a loro come accendere il computer e come iniziare la lezione, saranno gli allievi stessi a svolgere tali operazioni ed a effettuare da soli lo studio.
Perciò il gestore dei corsi di lingue potrà stare in altro locale ed essere libero di fare ciò che riterrà opportuno: svolgere lavoro domestico (stirare, lavare e così via); leggere; guardare la televisione; riposare.

Hai capito! Ma allora il punto croce lo posso fare lo stesso, pure lavorando! Però ecco che ora ho capito a cosa servono pc e DVD. Vediamo un po’ quanto costa ‘sto DVD, va’!

IL PREZZO DELLA LICENZA AD USARE IL CORSO BIENNALE DI INGLESE “Audio-visual Course of Fundamental English” è di Euro 1600,00. L’acquirente, privato o scuola pubblica che siano, dovrà inoltre versare all’Ufficio Imposte competente la ritenuta d’acconto dell’15%, che è di Euro 240,00 e dovrà dare notizia dell’avvenuto pagamento allo Studio Universitario Privato. La spesa di spedizione del DVD sarà di circa 8 Euro.

Mi pare un po’ tantino, ma per guadagnare mentre faccio la calzetta, a ben vedere, ci si può stare, tanto più che volendo puoi acquistare anche solo il corso annuale, o se non ti fidi (brutto malfidato zozzone!) puoi comprare il disco di prova contenente n. 1 lezione di prova, alla modica cifra di euri 60.00 non deducibili dall’acquisto successivo del corso completo (non stanno mica là a pettina’ le bambole!).

Ma mica tutti saranno adatti al caso, oppure sì?

Vi possono essere tanti motivi per iniziare un’attività redditizia in casa: la ridotta attitudine al lavoro; l’età avanzata; il desiderio di migliorare la propria condizione economica di pensionati e di avere una piccola attività gratificante oltre ad un po’ di compagnia; la difficoltà a camminare; la maternità: ad esempio con alcuni figli piccoli, che impedisca di avere un lavoro fuori di casa; la necessità di accudire un infermo e di non potersi da lui allontanare. Vi sono inoltre coloro i quali sono esclusi dal lavoro perché lo hanno perduto per vicende economiche e sono ritenuti troppo anziani per essere assunti dalle aziende; o gli ex-carcerati, rifiutati per diffidenza e sfiducia nei loro confronti.

Che dite, gli scrivo?