Quante palle?

Un gustoso aneddoto dal blog di Twiga fornisce un interessante spunto di riflessione sui problemi di carattere fonologico che può incontrare chi si trova a dover imparare una lingua straniera. Copio direttamente, visto che per commentare da twiga bisogna essere registrati:

 Alfabetizzazioni

Ordunque, una delle attività concesse dalla mia situazione familiare è quello di dare una mano a studenti in difficoltà su certe materie. Non solo i nostri italiani, ma anche gli extracomunitari che non spiccicano una parola neanche a volere e che a settembre prossimo si troveranno in una scuola. Quelli che una scuola già frequentano con criteri di ammissione diciamo estrosi e che delle lezioni nulla capiscono; dell’uso della lingua men che meno. Ragazzi di 15 anni che si trovano a dar per scontata la storia romana quando dei romani nessuno ha loro mai parlato.

Per i piccolini metto in campo tutto il patrimonio audiovisivo, conversativo che so. Tutti entro la prima setttimana sanno dire nome, cognome, indirizzo, recapito telefonico. Per lo scrivere ricorro ai vecchi sistemi…abbeccedario o quasi. Racconto della religione (io scettica) perchè se raccontata nel modo giusto, è un aggancio culturale (valuteranno poi) e dà delle storie che, senza esser favole, sono abbastanza primitive e dirette da esser facilmente compresi.

Ai bambini spiego che p+a suona “pa”. Cerco disperatamente di far sentire le doppie.

Dicembre scorso. Cercavo di raccontare  Pavlo (5 anni) quello che ci si stava preparando a festeggiare. E giù, con la fuga in Egitto, ciuchi, buoi, magi. Ho richiesto un pensierino. Pavlo, incredibilmente dotato per le lingue, si è chinato serio serio sul suo quaderno ed ha incominciato a scrivere. Una sola domanda mi ha fatto: “Enrica, san Giuseppe con due palle o una palla sola?”

http://twiga52.blog.kataweb.it/2008/03/15/alfabetizzazioni/

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Pavlo, insomma, dalla pronuncia non riesce a distinguere il numero di palle in San Giuseppe,  😀 sebbene sicuramente Enrica ci abbia messo tutta l’occlusione labiale possibile. Per quale motivo Pavlo “sente diversamente” dai bambini italiani?

Perché non riesce a far ricadere il fonema “pp” in una categoria nota della sua lingua, quindi deve cercare quella più simile possibile. Il fonema [p:] (che è il modo dell’ alfabeto fonetico internazionale per indicare <pp>) ha le seguenti caratteristiche: occlusivo, labiale, sordo, intenso. Nella lingua di Pavlo il fonema più vicino è quello che ha tutte queste caratteristiche, tranne intenso, cioè [p]. Ciò significa, in termini linguistici, che la caratteristica dell’intensità non è distintiva, nalla sua lingua, solo accessoria. Una variante certamente esistente, ma come realizzazione personale. Un po’ come la nostra gorgia toscana (per la quale il discorso è però forse leggermente diverso), la r moscia, o la s sibilante (o come si chiama… qui dalle mie parti la chiamiamo “zeppola”), e anche la r uvulare parigina già tirata in ballo altrove da Twiga: percepiamo una differenza di pronuncia quando sentiamo queste particolarità, ma la comprensione non ne viene compromessa. Mentre, al contrario, per noi fa differenza l’intensità con cui viene pronunciata la p in pappa o papa, la s in casa o cassa, la t in moto o motto.

Le branche della linguistica cui pertengono queste particolarità sono la fonetica per le r moscia, la fonologia per l’intensità consonantica. La prima descrive le particolarità di pronuncia, tutte, e che possono essere infinite; mentre la seconda si occupa solo di quel numero LIMITATO, CHIUSO, di fonemi che costituiscono la struttura stessa della lingua come sistema al di fuori del quale non ci si comprende più.

Come si capisce quali caratteristiche siano distintive o meno per la struttura del sistema linguistico? Semplicissimo: basta trovare, come ho fatto sopra, delle cosiddette “coppie minime“, ovvero coppie di parole in cui la presenza o assenza di quella determinata caratteristica ci porta a comprendere una cosa anziché un’altra. Basta trovarne anche soltanto una, perché quella caratteristica sia distintiva per il sistema.

Probabilmente Pavlo percepisce l’intensità, altrimenti non avrebbe avuto il dubbio sul numero di palle, ma la ritiene superflua. Purtroppo non esiste una parola che possa formare una coppia minima con Giuseppe, cioè un ipotetico “giusepe”, ma forse per insegnare a Pavlo, e anche alle mie due piccole allieve di italiano, a sentire le doppie, potrebbe essere un buon sistema creare della “frasi trabocchetto”, tipo, che so: “in casa c’è una cassa, nella cassa c’è una rosa, la rosa è rossa” o roba del genere, e poi altre alternate in cui ciascuna delle parole sia inserita in un contesto riconoscibile: “vado a casa” o “la cassa dei giocattoli“. [L’ultimo esempio è un po’ debole… trovatene uno migliore voi! ;)]

Chiaramente, ciò può bastare solo per introdurre il problema, per allenare l’orecchio a questa differenza. Il vero lavoro è costituito dalla pazienza e dall’esercizio.

Io stessa, che ho sproloquiato fin qui, quando tentai anni fa di imparare il russo, scoprii con orrore che c’era differenza fra uno “sh” normale (Ш) e uno pronunciato in un modo più palatalizzato (Щ). Sebbene abitassi al tempo con una ragazza russa, che mi forniva saggi di sh più o meno avanzati, io proprio non sentivo alcuna differenza.

Infine un aneddoto che ben dimostra l’importanza delle caratteristiche distintive per la reciproca comprensione. Bisogna anzitutto premettere che sono “romana de Roma”, e che una delle caratteristiche del mio dialetto è quella di non riuscire ad articolare il fonema laterale palatale, ovvero “gli” in maglia, che io pronuncio maja. Per quanto mi sforzi, non ci riesco, la lingua mi si incarta. Mi manca un fonema. Un minuto di raccoglimento, prego. 😥

Insomma, ero alla domanda finale di un brillante esame di Storia della Lingua Italiana, e l’ammirato professor Serianni mi chiede:

– Cos’è un trigramma?

– Un trigramma è una convenzione grafica di tre lettere alfabetiche per descrivere un unico suono [es. <sci> in “sciame”, ndr]

– Molto bene. Ora mi faccia l’esempio di una parola contenente un trigramma.

– …

– Signorina?

– Sì, ad esempio… “ajo” [“aglio”]

– Signorina, ho detto un trigramma… non un trittongo.

😀

Per fortuna la comune origine romana, la sua comprensione delle particolarità fonetiche e il suo senso dell’umorismo mi hanno salvato l’esame. Cosa può fare un fonema toppato…

Link: sistema fonologico dell’italiano

27 pensieri riguardo “Quante palle?

  1. Ohh ecco! Esauriente e pratica. Io alle frasette con le coppie minime non ci avrei mai pensato e credo sia invece un sistema efficace almeno per sfoltire. Grazie anche per i preziosi link. Appena trovo un po’ di tempo ritorno sul bagitto:))

  2. Pardo Fornaciari è quello che insieme a Bedarida, troppo anziano per lavorarci su ha messo insieme questa cosa. Se poi ti interessa ho anche un CD con i canti sacri tipici delle comunità fiorentina e livornese.
    Non che faccia alcuna differenza ma non sono di religione ebraica. Ho tanti amici che lo sono e mi ha sempre affascinato la loro cultura.

  3. Peccato che, quella signora sempre un po’ ingrugnita col nome che sembra una piccante insalata esotico-estiva da passeggio, ci abbia così tanto da fare per decidere di quanti cerchi sia bene abbia l’emblema Olimpico versione gialla eccetera, perché sarebbe ‘ganzo’ e liberatorio se bloggasse ska di quante palle USA ‘deve’ avere questo benedetto San Giuseppe – e basta!

  4. Mica ti ho capito, Coccoina, sai? E’ tutto il pomeriggio che ci penso… mi aiuti? Sei troppo fine per me! 😉

  5. Macché fine – probabilmente distrattamente disinvolto; ma quando ska chiama, coccoina risponde.
    Lo racconto differente, senza trucchi enigmistici.
    ‘Certo che la Rice è un peccato che abbia così tanto da fare per lo Zio Sam a tenere a bada i cinesi olimpici – altrimenti avrebbe il tempo di intervenire in questa specie di ‘affare interno palle’ della nazione ska e imporre LEI, per lo Zio e senza discussioni, quante palle DEBBA avere San Giuseppe, more solito USA da anni ormai – disponibile anche in versione sangue.
    La prossima volta scherzerò meno coi giochini di parole e le immagini.
    Sono lieto che ska abbia gradito l’inno alla pigra lentezza.

  6. Che ska e il buon senso mi perdonino: avevo dimenticato il Nepal, i sacerdoti buddisti, il Dalai Lama, l’Indipendenza Altrui e le fucilate, e il sangue, e la cultura della Morte.

  7. No, perché limitarti? 🙂 E’ divertente e anche un allenamento per il senso poetico. C’ho pure pensato, alla Rice, ma mi veniva solo Condoleeza, e non vedevo il collegamento con l’insalata… bastava aggiungere il cognome! 😀
    Beh, gli USA hanno tutto il potere di decidere il numero di palle, i tratti soprasegmentali, di annullare i plurali irregolari come “le uova”, e di decidere quali paesi violino i diritti umani e quali no. Non dimentichiamo che si basano sui propri parametri…
    Ma certo, alle Olimpiadi bisogna andarci, boicottare non è il modo migliore per cambiare le cose… questa la tiritera quotidiana: qualcuno sa dirmi allora qual è, questo altro modo? Quanta vile ipocrisia! Inchiniamoci di fronte al dio Danaro!

  8. La zeppola, dalle mie parti, è un dolcetto fritto o al forno! 🙂

    Comunque, io ogni giorno ascolto la zeppola da una persona simpaticissima a me quotidianamente moooolto vicina.
    Ciao Ska.

  9. Ah, Twiga: avevo già trovato quel link mentre ricercavo su cosa fosse il bagitto… sì, si vede che Bedarida parla con cognizione di causa! Trovo l’argomento bagitto estremamente affascinante: quasi non posso credere che non mi sia trovata ad affrontarlo neanche di striscio durante i miei studi.

  10. Ah sì? Tua moglie zeppoleggia, Edgar? Carina! 🙂 Mi sembra un tratto infantile, mi fa tenerezza…

    Comunque tornando al mio gli > j, oggi quando insegnavo gli articoli determinativi alle bambine e dicevo “gli”, loro scrivevano “i” o “li” … 😦

  11. Purtroppo non esiste altro modo che quello impensabile ma unico di cambiare linguaggio: ogni metamorfosi è inesistente e impensabile. Una volta, con permesso, scrissi un haiku che diceva così:

    Non ha mai seta
    Quest’uomo appeso al niente
    Per le sue ali

    Il coraggio di continuare a combattere, quello vero senza ardimento alla Toti o ritualizzato tipo Milite Ignoto, fa parte del quadro della malattia della quale soffriamo (o godiamo, o giochiamo) io penso – confrontandoci nostro malgrado con un probabile novantanove per cento di sani culturisti di morte, eccetera. Non partecipare sarebbe di grande offesa alla nostra stessa identità e ad un popolo – che si beva o non si beva Coca Cola. Niente da dire come vedi, saggia ska: Niente Di Nuovo Sul Fronte Occidentale, chiosando il titolo del nobile film: tutto ‘umanamente’ normale e , per par condicio, ci metto pure la Pepsi Cola.

  12. Perché, gentile ska, vile l’ipocrisia quando è norma per il novantanove per cento di coloro che sanamente ‘umanizzano’ il mondo con cultura di morte?
    Godiamoci e giochiamo il coraggio dei ‘contro’, quello vero senza ardimenti alla Toti o ritualizzanti tipo Milite Ignoto, del nostro ricco uno per cento.
    Nessuna ipocrisia, nessuna viltà: solo normale ed immutabile caratteristica genetica del cosiddetto Homo Sapiens Sapiens – inattaccabile dalle metamorfosi di ogni tipo.
    Mi è triste dire che tempo fa, con permesso, scrissi un haiku che diceva così:

    Non ha mai seta
    Quest’uomo appeso al niente
    Per le sue ali

    Boicottare, gioco che non appartiene agli schietti, ci offenderebbe profondamente e offenderebbe maggiormente un intero popolo, ‘sebbene’ un po’ giallino: se metamorfosi possa essere (improbabile) – almeno un seme è da tentare d’essere piantato, Coca Cola o non Coca Cola; e ci metto pure la Pepsi per par condicio (che mi fa tanto ridere, in questo mondo di stivali e di teste calpestate)

  13. Per la verità, avevo già scritto la cosa prima – che il web mi aveva risputata indietro. Allora, con coraggio e pazienza, l’altra versione: che la prima chi se la ricordava.
    Vi prego di non pensare che sia in preda ad una virulenta crisi di grafomania: così si volle dove si puote (parafrasando quel poco che ricordo).
    E sono arrivato, prepotentemente o supinamente, ad occupare vergognosamente tre spazi: mi suiciderò lentamente in segno di mortificazione, un po’ alla volta, tutti i giorni e alla stessa ora. Lo giuro! E non lo farò più: parola.

  14. No, coccoina, non suicidarti! Poi sennò chi mi insegna cose come l’haiku? Ti interessi di cultura giapponese?

    Per quel che riguarda il boicottaggio… sai cos’è? Che comincio a pensare che chi pensa solo soldi capisce solo la logica delle mancate entrate. E credo che alle olimpiadi ci andiamo per annaffiare il seme già piantato degli investimenti.

  15. “… E credo che alle olimpiadi ci andiamo per annaffiare il seme già piantato degli investimenti”

    Bell’esempio figurativo prof! 😉

  16. Ammiro e rispetto qualsiasi cultura – qualsiasi, inevitabilmente: l’etica è un’invenzione ed il reale è il tutto – probabilmente una conscia materia inventò l’uomo/cervello allo scopo di avere una risposta che la potesse identificare fuori dal mistero di essere, corpo e limite del meraviglioso caos.
    Lo Haiku è intrigante, perche in 5-7-5 sillabe il concetto/suono/sensazione devono essere compiuti; io sono di cultura occidentale, e svolgo immagini occidentali – per la cultura giapponese lo Haiku poggia solitamente sulla immagine di una natura e una stagione stupefatte, complete e disegnate con una netta precisione che le rende paradossalmente indefinite – come l’amore di ska per la purezza della fanciullezza ignara e meravigliosamente ricca.
    Ho letto il luogo fatato dove ska ha gettato le ultime reti, a pescar sogni e pensieri volanti – anche se si chiamano Brooks e FrankenstEen e Aigor.
    Comunque le istruzioni alla fine suggeriscono di girare sempre a destra, come nei labirinti, e di godere adulti la gioia del non aver bisogno di capire per essere e felici – e tornare, possibilmente, per sempre bambini.
    E, a scanso di equivoci, orecchio inglese ad evitare, anche se piacevoli, i trabocchetti.
    Che invidia per la fanciulla che ospiti in te, ska rastrellatrice di dolcezza!

  17. “probabilmente una conscia materia inventò l’uomo/cervello allo scopo di avere una risposta che la potesse identificare fuori dal mistero di essere, corpo e limite del meraviglioso caos.”

    Bella immagine. Pensa un po’ che differenza: io giorni fa invece ho detto che l’uomo si è inventato Dio. Sei molto avanti spiritualmente rispetto a me, mi sa. O forse sono io che sto regredendo nel materialismo.

    Di haiku ne ho letto qualcuno in rete. Del tuo volutamente non t’ho chiesto interpretazione, perché visto l’ermetismo tipico di questi componimenti, credo lascino largo spazio all’immaginazione del lettore. Grazie di avermi insegnato qualcosa.

    E grazie a te dell’apprezzamento, Lavinia!

  18. skakkina credo di aver risolto il problema della registrazione per entrare nel mio blog. Sto cercando di recuperare cose sul bagitto un po’ originali rispetto a quel che si trova in rete. A presto

  19. Non avanti, ska: non esistono, io credo, ‘avanti’ o ‘dopo’ in una realtà già vissuta e riascoltata di puntina, attimo per attimo, ‘giocando’ un 78, ma sulla stessa strada a circolo o a spirale, come uno preferisca. Magari è il vecchio ‘me’ che insegue la giovane ‘te’ e, sempre camminando e in cibo alla tua curiosità e alla mia vanità, ti propino un altro Haiku, anzi due – no! Tre.

    La primavera
    Mi lusinga la testa
    Che già è fiorita

    Quando s’incanta
    L’aria commuove i fiori
    E li recide

    Quando il pensiero
    Cresce le sue radici
    Il cuore dorme

    Aggiungo che anch’io, forse ero una ‘te’ distratta che stava passando di lì, molti anni fà (domani) inventai di avere inventato dio: che sia la sofferenza azzeccata?
    Buona giornata, entro i limiti – che ce n’ è sempre bisogno: lunga, già vissuta o corta che sia.

  20. Hai ragione sai Ska. Una ragazzina albanese mi ha proposto quattro o cinque fonemi che non riproduco neanche a piangere. Il problema è che per lei l’italiano eè obbligatorio e chi se ne frega se non so pronunciare l’albanese

  21. Oh, ciao Twiga!
    Corro a vedere il post sul bagitto! Che bello! Non sono stata a casa negli ultimi giorni, ho dovuto babysitterare le bimbe russe a cui insegno italiano… e anch’io mi sono fatta spiegare qualche differenza fra fonemi… ne sono uscita col mal di testa! 🙂
    Ma vedrai, ‘sti bimbi ci stupiranno!

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